Vulcano paesaggio immobile per nulla inerte

L’energia dinamica del suolo vulcanico e la scelta della coltivazione biologica per assolvere al dovere di gentilezza con la natura, sono alla base di un vino dal gusto unico e non omologato in cui crediamo fermamente.

Il sistema vulcanico del Roccamonfina – la cui sorgente magmatica è ubicata fra la “Provincia Comagmatica Romana” e la “Provincia Campana” – occupa il versante nord-occidentale della Campania per un’area di circa 450 Km2 per un diametro di base di circa 15 Km e lambisce il confine meridionale del Lazio.
Il vulcano di Roccamonfina (Monte S. Croce – metri 1005) è oggi estinto, ma durante la sua millenaria attività eruttiva, ha ricoperto il paesaggio circostante di depositi piroclastici e colate laviche, conferendo all’intera area un’incomparabile suggestione atavica.
Questo Vulcano è per dimensione il quarto Vulcano italiano, mentre per altitudine è il quinto dopo l’Etna, il Vulture, il Vesuvio ed il monte Amiata e rappresenta uno dei sistemi vulcanici più interessanti al mondo.
La sua attività eruttiva è datata tra 630.000 e 50.000 anni fa.
È considerato un vulcano di dimensioni ragguardevoli, maggiori per esempio di quelle del Vesuvio, di cui ricorda la struttura morfologica. Come il Vesuvio, Roccamonfina può essere classificato come un vulcano poligenico, con caldera sommitale derivata dal collasso del vulcano primordiale, entro cui si è edificato un nuovo vulcano, che in Roccamonfina è rappresentato dall’effusione dei domi Lattani.
La storia geologica del vulcano di Roccamonfina è stata suddivisa in tre epoche eruttive principali, separate da periodi di quiescenza e caratterizzate da importanti variazioni delle modalità eruttive.

La prima epoca eruttiva è compresa tra 630.000 a 374.000 anni fa.  Nel corso di questa epoca furono eruttati circa 100-120 km3 di lave e prodotti piroclastici.
Roccamonfina si configurò come uno strato vulcano edificato dall’alternanza di lave e depositi piroclastici. Le lave, che nelle prime fasi furono molto abbondanti, hanno composizione tefritico-leucitica. Da un punto di vista petrografico questo periodo che va dai 549.000 ai 374.000 anni fa, ed è caratterizzato dall’emissione di magmi ad alto contenuto in potassio. È stato ipotizzato che l’edificio di Roccamonfina raggiunse un’altezza di 1600-1800 metri.
La fine della prima epoca eruttiva viene posta dai geologi intorno ai 400.000 anni fa.

Cratere del vulcano di Roccamonfina

L’aspetto, che il territorio poteva avere alla fine del primo stadio eruttivo, era quello di una enorme depressione topografica a breve distanza dalla costa tirrenica; fiancheggiata da montagne e solcata dagli alvei di numerosi corsi d’acqua, fra cui prevaleva quello del fiume Garigliano, dominata, in modo torreggiante, dalla mole dello strato vulcano originario e rotta da una serie di crateri secondari.
Nella parte terminale di questo primo stadio vulcanico, il magma, altamente viscoso, raggiunse la superficie anche attraverso fratture orientate verso NE, che originarono monumentali dicchi, tuttora osservabili sui versanti di Conca della Campania e di Galluccio.
Nella seconda fase (350.000-150.000 anni fa), l’attività diviene prevalentemente esplosiva, con colate piroclastiche estese e pomici bianche. Essa è caratterizzata prevalentemente dall’emissione di ingenti volumi di colate piroclastiche di medio e grande volume.  Circa 385.000 anni fa, fu eruttato il così detto “Tufo Leucitico Bruno”. Con la dizione “Tufo Leucitico Bruno” si indica una successione di diverse tipologie di ignimbriti.

La fine della seconda epoca dell’attività del vulcano di Roccamonfina viene posta dai geologi al termine dell’emissione delle grandi ignimbriti.
Dopo le eruzioni del ‘Tufo leucitico Bruno’ a partire da circa 327.000 anni fino a 230.000 anni fa, il vulcano eruttò ancora una serie di ignimbriti, note nel loro insieme con il nome di “Tufi Trachitici Bianchi”.

Le eruzioni avvennero da una serie di centri situati all’interno della caldera, lungo faglie a direzione NE-SW. I crateri di queste eruzioni di ignimbriti sono stati riconosciuti a Cupa, Aulpi, S. Clemente e Galluccio.

Roccamonfina

L’ultima fase di attività di Roccamonfina, che si protrae almeno fino a 50.000 anni fa, è caratterizzata da modeste eruzioni esplosive e dalla formazione di due cupole laviche all’interno dell’area della caldera, lungo un sistema di fratture a direzione NE-SW, quella di Santa Croce e dei Lattani.
In questa terza fase (150.000-53.000 anni fa) affiorano nell’area del vulcano anche depositi di ignimbrite campana, dovuta al vulcanismo dei campi flegrei. Si tratta di un particolare materiale piroclastico che riveste molte delle colline e dei monti circostanti, più comunemente noto con il nome di “Tufo grigio campano”.
Nonostante l’uniformità delle caratteristiche litologiche, la giacitura nonché la tessitura di queste ignimbriti dimostrano che la loro origine non è dovuta ad una unica emissione e ad un unico apparato vulcanico, bensì all’attività più o meno contemporanea di numerosi centri vulcanici anche di minore entità.
Attualmente, dell’apparato vulcanico di Roccamonfina resta una parte del cono troncata dalla struttura calderica di forma ellittica da cui emergono le cupole dei domi Santa Croce e Lattani.
L’area del vulcano è ancora interessata da una modesta sismicità ed è ricca di sorgenti termali e acque oligominerali.
Nel corso delle differenti ere, il complesso vulcanico di Roccamonfina ha emesso una quantità di materiale piroclastico capace di ricoprire un territorio vastissimo, conferendo ai terreni una fertilità non comune, che ha favorito la creazione di fitti boschi di castagni, ma anche la coltivazione di uliveti e vigneti.